Sheila si dondolava sui due piedi e guardava il cielo. Era una giornata di brutto tempo, che cosa avrebbero fatto se si metteva a piovere? Aveva paura dei tuoni. Dei fulmini no, le avevano spiegato che se si accucciava per terra non la potevano colpire, e allora aveva fatto la prova nel prato durante un temporale. Sua madre le aveva tirato una sberla perché aveva infradiciato i vestiti, ma lei non aveva pianto. Era troppo contenta che il fulmini non l'avessero colpita. Si sentiva vaccinata.
Jimmy giocava con gli occhiali, ci guardava attraverso facendo diventare i tronchi e le foglie più grandi e più piccoli. Per natale voleva un microscopio, aveva deciso. E chissà quante cose schifose, i batteri, e i vermi che avrebbe potuto studiare. Gli girava la testa dall'emozione se ci pensava. Concentrarsi su qualcos'altro lo faceva stare senza paura, e poi se erano tutti lì insieme voleva dire che stavano facendo una cosa giusta.
Patty guardava l'ora, nervosa, e intanto si mordeva le labbra. Le piaceva il gusto del suo sangue, e suo padre una volta l'aveva trovata a giocare con un coltello, ma non aveva detto niente. Pensava che forse anche a papà piaceva tagliarsi, ed era per quello che portava l'orecchino, come la mamma. Erano solo le cinque, mancava ancora un'ora prima che si fossero accorti che mancavano, ma per lei era come se mancassero trenta secondi. Perchè non stava scappando?
A quel punto Lee alzò la testa e disse
“Lo sentite?”
Tutti si misero in ascolto. Lee doveva averlo sentito prima ma per gli altri tre fu come se fosse iniziato in quel momento. Qualcuno stava cantando. Da dentro al bosco una melodia si sentiva chiaramente. Saliva e scendeva, ad ondate. Si interrompeva per qualche secondo e poi ricominciava. Non era un uccellino e di sicuro non era nemmeno il vento. Una foglia si posò sulla spalla di Patty, che emise un gridolino. Jimmy rise, e lei gli fece la lingua, e poi, non contenta, il dito medio, al che Sheila la guardò malissimo e lei smise.
Jimmy posò una mano sulla spalla di Lee.
“Se le femmine hanno paura andiamo io e te.”
Lee alzò le sopracciglia per guardarlo.
“No, vengono anche loro.”
Jimmy guardò le femmine e fece la lingua a Patty, che ricambiò. Smisero subito però, perché Lee si era messo in marcia e Sheila l'aveva seguito.
Gli alberi erano alti e i tronchi grandi e spessi. Lee ci posava sopra la mano ogni volta che poteva. Aveva sofferto tantissimo, quando avevano tagliato il castagno nel giardino di casa. Gli avevano detto che era malato, che sarebbe crollato sopra la casa. Suo papà e suo nonno gliel'avevano spiegato mille volte. Ma lui non ci credeva. L'albero e lui avevano parlato tante volte, e Lee gli aveva detto di non aver paura il giorno prima del taglio. L'albero gli aveva risposto, come sempre, dicendogli che lui non era l'ultimo albero al mondo. Lee sapeva che era vero, ma all'albero non l'aveva detto.
Dopo qualche minuto, già non riuscivano a vedere la prateria al limite della quale stava il loro villaggio. Patty guardava indietro spesso, ma Sheila l'aveva presa per mano e faceva in modo che non restasse indietro. Jimmy cercava di restare sempre un passo avanti a Lee, ma facendo in modo che fosse l'amico a fare la strada. Non avrebbe saputo dove andare, ma gli piaceva passare avanti.
A un certo punto Patty disse
“E se ci perdiamo?”
Il cuore le batteva forte, e sperava tanto che qualcuno le dicesse che non si sarebbero perduti, ma nessuno lo disse. Lee si fermò un momento e andò a metterle una mano sulla testa, ma senza guardarla in viso. A lei venne voglia di piangere, ma si trattenne e riprese a camminare. Dato che aveva l'orologio sapeva entrati nel bosco da solo sei minuti. La voce continuava a cantare, ma sembrava che non si fossero avvicinati, risuonava sempre alla stessa distanza.
Lee non seguiva una linea retta, ma puntava un albero e dopo che lo raggiungeva ne puntava un altro. Il sottobosco non era troppo fitto, e con le loro gambette sottili riuscivano subito a divincolarsi quando un'erba intralciava la via. Sheila si era messa gli stivaletti, e Patty le calze lunghe al ginocchio, le più spesse che aveva. Lee aveva gli scarponcini da montagna e Jimmy e scarpe belle della domenica, che erano più dure delle altre perché non erano consumate, e gli piacevano un sacco.
A un certo punto Lee si fermò. Jimmy andò avanti ancora tre passi poi si accorse che l'amico si era fermato. Le due femmine si appoggiarono contro un albero aspettando. Lee fece segno che si avvicinassero e si chinò sulle gambe. In quel momento si udì un tuono.
Sheila fece un salto; nessuno rise.
Quando furono arrivati dove stava Tommy lo videro tutti. Era appoggiato sul tronco di un albero morto, sopra i segni degli anni.
Un telefono rosso.
Jimmy disse
“Chi ha messo qui un telefono?”
Sheila disse
“Di sicuro sono stati gli elfi.”
Patty aggiunse
“Certo, gli elfi.”
Nel fruscio della foresta la canzone andava avanti, e ora sembrava che chi cantasse pronunciasse davvero delle parole.
Lee li guardò tutti e scosse la testa.
“Gli elfi non esistono.”
Gli altri lo guardarono, con gli occhi spalancati.
“Me l'ha spiegato mio nonno, quando lui era piccolo c'erano ancora gli elfi, e anche i folletti. Ma li abbiamo mandati via.”
Jimmy disse
“Eh, già, l'inquinamento.”
Lee fece una faccia scura e riprese
“Ve l'ho spiegato stamattina. Qualcuno vive nel bosco.”
Gli altri annuirono, d'altra parte il canto lo sentivano tutti. D'altra parte se qualcuno cantava, perché non poteva ricevere telefonate?
Lee allora si avvicinò e tirò su la cornetta.
Patty pensò che era coraggioso, che lei non l'avrebbe mai e poi mai toccato.
Sheila pensò che avrebbe voluto farlo lei.
Jimmy rise perché era buffo che ci fosse un telefono in mezzo al bosco e perché gli altri non lo trovavano buffo.
Patty chiese
“Cosa senti, Lee?”
Lee ci pensò su disse
“Non sono sicuro, è un ronzio, come quello che fa la tivù quando c'è il temporale e diventa tutto a puntini.”
Jimmy si avvicinò e fece cenno all'amico che glielo passasse. Lee lo guardò e gli mise la cornetta rossa in mano.
Jimmy si tolse gli occhiali, con la sinistra, mentre reggeva la cornetta con la destra, poi strinse gli occhi a fessura e si mise in ascolto. Sheila pensò che sembrava un gufo. Lee lo guardava con pazienza.
Jimmy disse
“Si chiama rumore bianco.”
Gli altri non chiesero come facesse a saperlo, Patty disse solo
“Perchè bianco?”
Jimmy non sapeva la risposta ma disse
“Perché è morbido come la neve.”
Agli altri la risposta piacque.
Lee si sedette su un pezzo del tronco, e Jimmy lo richiuse. Sheila stava ascoltando il canto, ma non capiva da che parte venisse.
Patty disse
“Ma chi è che riceve una chiamata qui? Non c'é nessuno, nemmeno funziona.” poi si fece coraggio e aggiunse “andiamo a casa, sono le sei meno un quarto.”
I due ragazzini si guardarono seri, cercando di indagare l'uno l'animo dell'altro, senza dire niente.
Fu Sheila a prendere in mano la situazione.
“Non serve per rispondere. Serve per chiamare.”
Un sorriso comparve sulle labbra di Lee, per la prima volta da quando erano partiti. Sheila fu fiera della sua intuizione e il suo cuore batteva forte. Gli altri due non ebbero nulla da ridire, dato che avevano capito che era l'unica possibilità. A un certo punto le ginocchia di Patty cominciarono a tremare. Lei si guardò le gambe e arrossì.
“Non riesco a tenerle ferme.” disse.
Jimmy rise, ma con moderazione, gli altri due sorrisero. Lei riprese
“Io ho paura. Sono stata d'accordo a venire, ma adesso ci dobbiamo muovere. O chiamiamo, o torniamo a casa.”
Lee si avvicinò di nuovo al telefono.
“Chiamiamo.” disse.
Jimmy e Sheila annuirono, non aspettando altro. Intorno a loro il bosco si faceva sempre più scuro con l'avvicinarsi della sera e del temporale.
“Che numero fai?” chiese Jimmy all'amico.
“Fai il sei sei sei.” disse Sheila.
“Che vuol dire?” chiese Patty, preoccupata.
“Che lei è un po' stupida a volte.” fece Lee, fulminando Sheila con lo sguardo, mentre Jimmy rideva ancora. Poi rispose all'amico
“Pensavo di fare il quattro. Noi siamo in quattro giusto? Tanto poi non è che puoi chiamare in tanti posti da qui.”
“Fai lo zero prima.” li sorprese Patty “Quando sei su una linea chiusa, per aprirla fai lo zero, l'ho imparato in vacanza.”
Lee seguì il consiglio. Con l'orecchio appoggiato alla cornetta rossa fece prima lo zero, ed ebbe un sobbalzo, poi col dito che tremava fece il numero quattro.
La voce smise all'improvviso di cantare, e il sole scese sotto l'orizzonte al di là degli alberi.
Si sentì un telefono suonare. Non era lontano, e veniva dalla parte opposta da quella da cui erano venuti. Serrati intorno al telefono, con le orecchie vicine, pronte a captare ogni minimo fruscio, i quattro attesero.
A un certo punto il telefono in mezzo alla foresta si fermò e sentirono un clic dietro al ricevitore, seguito da parole che tutti e quattro colsero.
Si guardarono e annuirono, sorridendo, poi si misero in marcia nella quasi oscurità, senza più paura.
I loro genitori e gli abitanti del villaggio li cercarono per una settimana intera, poi interruppero le ricerche, dandoli per sempre perduti. Nessuno ebbe mai più loro notizie, nè alcuna traccia fu ritrovata. Ma non bisogna preoccuparsi per loro, perché erano bravi bambini, se non avessero trovato niente di meno che l'esperienza più eccitante della loro vita, sarebbero di certo tornati a casa.
kids get lost
lambs out wandering
bigger, blacker, things go following
then into a patch of forest
somebody once planted for this
song's not over, phone's still ringing
eyes still rolling, eyes still clinging,
something in the air starts singing
[da Missing Children, traccia numero 1 dell'album The Black Sheep Boy appendix degli Okkervil River, uscito nel novembre 2005 su etichetta Jagjaguwar]
foto da flickr.com, utente _hold3n, Sunset Light
scritto da Alberto Lioy, tra il 9 e il 12 ottobre 2012