il 2013 si è aperto e io non ho ancora postato niente.
no, non mi stavo grattando, avevo esami da dare.
e poi il grande puffo, il grande pazzo, cioè...il grande passo. ho iniziato a scrivere una cosa più lunga, cercando di fare le cose per bene.
ho un prologo. una cosa simpatica e veloce.
Il blog non si trasforma, resta sempre lo stesso: racconti, racconti e ancora racconti, ma questa settimana, in mancanza d'altro, un prologo.
e quindi che altro attendere? che prologo sia!
buon anno a tutti.
Mi avevano detto che avrei potuto essere tutto quello che avrei voluto.
Così bussai senza paura alla porta dell'ufficio, sicuro di me, e ponto a sfoderare il mio migliore sorriso. Attesi qualche secondo, toccandomi il colletto delle camiacia che sporgeva dal maglione rosso, poi bussai di nuovo. Nessuna risposta. Mi sporsi appena verso l'alto per vedere se riuscivo a scrutare l'interno. Eppure mi avevano detto che l'ispettore c'era. Mi morsi le pelli vicino alle unghie. cercando di staccarle senza farmi sanguinare le dita.
Mi voltai e ritornai del'ingresso del commissariato. Un uomo alto di statura, con un po' di pancia stava entrando dalla porta in quel momento. Salutò il guardiola, cenno ricambiato e si diresse nel corridoio senza fare caso a me. Io alzai le sopracciglia e lentamente mi voltai. Qualche secondo dopo la porta si era richiusa dietro di lui e la luce accesa.
Bussai da dietro la porta. Nessuna risposta. Sentii tossire forte. Bussai ancora.
“Avanti, avanti!”
Spinsi la porta che ruotò sui cardini con troppa leggerezza, come se stesse per staccarsi e frantumarsi sul pavimento.
Seguendo la porta, entrai senza guardare in faccia l'uomo. Lui invece mi stava fissando, in piedi, una sigaretta in mano. Non disse niente, attese.
“Buonasera.” dissi.
Lui prese una boccata di fumo e continuò a guardarmi.
“È lei l'ispettore Vincenzo D'Ambrosio?”
“No, mi spiace, Vincenzo è mia nonna, io mi chiamo Maria.”
Non rise, come invece mi sarei atteso, dopo aver detto una simile idiozia. Aveva probabilmente sui quarantacinque anni, e i capelli, radi sulla sommità e folti sopra le orecchie, avevano iniziato a ingrigire leggermente.
“Credo di poterla aiutare.” dissi io, come se lui non avesse detto niente.
“Un altro. C'è il prete, in chiesa qua vicino, ogni tanto mi viene vicino, mi dice che lui mi può aiutare. Gli ho offerto da bere una volta.”
Per qualche attimo ebbi la netta sensazione di star parlando con un matto. Lui aprì appena la finestra e scagliò fuori la sigaretta ancora accesa. Una lama di freddo invernale arrivò fino a me. Lui si sedette nella sua poltrona.
Io allargai appena le braccia, istintivamente, e lui scosse la testa.
“Si spogli.” disse.
Io lo guardai, e ebbi una reazione stranita, a giudicare da come lui proseguì.
“No, non nudo. Intendo, si levi la giacca. Non ha caldo qui dentro?”
Io ero ormai talmente spaesato, che non sapevo manco che stagione era, ma seguii il suo consiglio e deposi giacca e sciarpa sull'attaccapanni vuoto.
Mi fece cenno che mi sedessi, e io lo seguii, con un timido grazie.
“Allora avanti. Fuori il rospo.”
Io abbozzai un sorriso.
“Gliel'ho detto, penso di poterla aiutare.”
Lui sorrise per la prima volta, contraendo le guance, senza mostrare i denti.
“Testimone di Geova?”
Io non colsi e dissi
“No, cattolico, come tutti.”
“Chi la manda? Assicuratore, bancario?”
“Ma no, ma no... niente secondi fini, sono qui davvero per sapere se posso dare una mano.”
Stavolta rise, senza trattenersi, poi si ricompose e mi guardò dritto.
“Crede di aver trovato degli indizi, ha ricevuto una telefonata anonima?”
“No, non penso, non direi...” balbettai io.
“È un investigatore privato?”
“No, niente di tutto questo.”
A questo punto si alzò in piedi, appoggiando le mani alla scrivania, disse
“Mi scusi.” e andò la porta. Sobbalzai quando gridò
“Chi cazzo l'ha fatto entrare? Chi è stato?”
Io sulla sedia mi feci più piccolo che potei e aspettai che avesse finito. Nessuno gli rispose dal resto del commissariato.
“Fuma?” mi chiese, tornando alla scrivania come se nulla fosse. Aveva lasciato la porta aperta.
Io feci di no con la testa.
“È scappato da un manicomio?” mi chiese serio, mentre se ne accendeva un'altra.
Io mi sentii sobbollire dentro. Ebbi un sussulto di orgoglio e esalai
“Io no, e lei?”
“Anni fa, una volta, ma non sono bei ricordi.” replicò, serio.
Io non sapevo più che dire, e sospirai profondamente.
“Certo che se sapevo...” cominciai.
“Che questo D'Ambrosio aveva un carattere così balzano, col cavolo che andavo da lui, facevo prima a parlare con qualcun altro.” mi interruppe, e proseguì “È esatto? È quello che stava per dire?”
Io annuii succhiandomi la guancia coi denti.
“Bè mio caro ragazzo, che tra parentesi, lei non si è ancora presentato, ma io non sono un tipo formale... mio caro ragazzo, se è quello che lei stava per dire io sono molto soddisfatto. Perché non si va a rompere all'ispettore capo di un commissariato senza un buon motivo, e spero che dopo oggi le passerà la voglia. Ora via, se ne vada, sciò.” con un eloquente gesto della mano.
Io ci rimasi malissimo, cacciato senza aver potuto dire niente.
“Quindi lei non vuole il mio aiuto?” chiesi debolmente.
“Per fare? Per prendere i cattivi? Per arrestare gli spacciatori e quelli che rubano le borse alle vecchiette? Faccia il concorso e entri in polizia, come tutti, se è quello che le va di fare.”
“Ma io non sono un poliziotto.”
“Non ho alcun dubbio.” fece lui.
“Lei non capisce, io voglio darle un aiuto da civile.”
Lui rise ancora, tra una boccata di sigaretta e l'altra.
“Vuol fare questo lavoro di merda, senza prendere soldi?”
Io mi alzai e scossi ancora la testa.
“Laureato?” chiese lui.
“Antropologia.”
“Centodieci?”
“Centootto.”
“Ricco?”
“Sì, di famiglia.” dissi senza vergogne. Davanti ad altri, sarei stato un po' più circospetto.
“Cos'è, il figlio di papà idealista, che vuole prendere i cattivi?”
“Lei è un gran maleducato.”
“Può darsi.” fece lui. “E quindi? Non la seguo?”
“Lei è un poliziotto, dovrebbe trattar bene la gente. La gente ha bisogno di lei.”
“Ma lei, chi è? Topolino? Mickey Mouse? Era tanto che non incontravo uno così, ma dove vive?”
“Senta, ho cercato lavoro con la mia laurea, e non ho trovato niente. È un po' che ci penso, sono appassionato di criminologia e vorrei aiutare la polizia, ma di arruolarmi non mi va. Va bene?” sputai fuori rabbioso, e ormai deciso ad andarmene.
“Rallenta, tesorino, ti si è drizzato tutto il pelo. Dai, sentiamo, cosa vorresti fare?”
“Non so, l'informatore.”
“L'informatore? Frequenti i mafiosi? Vai nei bar malfamati?”
Io sbuffai.
“Allora, non lo so, potrei rileggere i rapporti per cercare qualche punto debole."
“Ho fior di colleghi che passano le giornate a leggere carte. Perché tu dovresti farlo meglio?”
“Allora mi dia da fare qualcosa che non fa nessuno, perché costa troppo tempo e soldi.” dissi io, deciso a non perdere il confronto.
Lui sorrise, stavolta mostrando un po' i denti e spense la sigaretta nel posacenere, che evidentemente prima si era scordato di avere. Assunse un'aria civettuola, si leccò le labbra, dando segno di aver avuto un'idea che lo divertiva.
“Le piace viaggiare?” mi chiese. Notai il suo ritorno al "lei" e mi irrigidii.
“Sì.” dissi io, ed era anche vero.
“Allora forse...” disse suadente. Si alzò e aprì il primo cassetto del mobile. Ne trasse una cartella piena di fogli sparpagliati. La mise sulla scrivania e iniziò a spulciarla. Io aspettavo, in piedi.
“Facile o difficile?"
“Difficile.” dissi io, per sfida.
Lui prese un foglio di carta con una foto.
“Lo conosce?”
Io scossi la testa.
“Lo guardi bene. Non l'ha visto alla televisione?”
Io non ricordavo quella faccia per nulla.
“Chi è?” chiesi.
“Un povero cristo. Di mestiere faceva l'attore. Sua moglie l'ha piantato per un altro uomo, due anni fa. Viveva da solo con la figlia. Una sera, mentre lei guardava la tivù le ha piantato una pallottola in testa ed è scappato. L'hanno avvistato un po' dappertutto nell'ultimo anno, ma nessuno è riuscito ad acchapparlo. Dieci mesi di latitanza. Non male, eh? Io non durerei una settimana.” fece una pausa “Ormai non lo cerchiamo più. Se si fa trovare bene, se no, abbiamo di meglio da fare.”
Io annuii nervosamente, ticchettando i piedi per terra. Avevo in mano la fotografia che lui mi aveva dato. Il viso era quello di un uomo sui quaranta, con gli occhiali, una folta zazzera di capelli ricci e uno sguardo azzurro e penetrante.
“Lo trovo io.” dissi, emozionato.
“Sicuro.” fece lui. “E quando lo incontra me lo saluti tanto.”
scritto da Alberto Lioy (come al solito, peraltro) martedì 22 gennaio 2013
la foto non c'è
la canzone nemmeno
perché?
perché non è un racconto, ça va sans dire
no, non mi stavo grattando, avevo esami da dare.
e poi il grande puffo, il grande pazzo, cioè...il grande passo. ho iniziato a scrivere una cosa più lunga, cercando di fare le cose per bene.
ho un prologo. una cosa simpatica e veloce.
Il blog non si trasforma, resta sempre lo stesso: racconti, racconti e ancora racconti, ma questa settimana, in mancanza d'altro, un prologo.
e quindi che altro attendere? che prologo sia!
buon anno a tutti.
Mi avevano detto che avrei potuto essere tutto quello che avrei voluto.
Così bussai senza paura alla porta dell'ufficio, sicuro di me, e ponto a sfoderare il mio migliore sorriso. Attesi qualche secondo, toccandomi il colletto delle camiacia che sporgeva dal maglione rosso, poi bussai di nuovo. Nessuna risposta. Mi sporsi appena verso l'alto per vedere se riuscivo a scrutare l'interno. Eppure mi avevano detto che l'ispettore c'era. Mi morsi le pelli vicino alle unghie. cercando di staccarle senza farmi sanguinare le dita.
Mi voltai e ritornai del'ingresso del commissariato. Un uomo alto di statura, con un po' di pancia stava entrando dalla porta in quel momento. Salutò il guardiola, cenno ricambiato e si diresse nel corridoio senza fare caso a me. Io alzai le sopracciglia e lentamente mi voltai. Qualche secondo dopo la porta si era richiusa dietro di lui e la luce accesa.
Bussai da dietro la porta. Nessuna risposta. Sentii tossire forte. Bussai ancora.
“Avanti, avanti!”
Spinsi la porta che ruotò sui cardini con troppa leggerezza, come se stesse per staccarsi e frantumarsi sul pavimento.
Seguendo la porta, entrai senza guardare in faccia l'uomo. Lui invece mi stava fissando, in piedi, una sigaretta in mano. Non disse niente, attese.
“Buonasera.” dissi.
Lui prese una boccata di fumo e continuò a guardarmi.
“È lei l'ispettore Vincenzo D'Ambrosio?”
“No, mi spiace, Vincenzo è mia nonna, io mi chiamo Maria.”
Non rise, come invece mi sarei atteso, dopo aver detto una simile idiozia. Aveva probabilmente sui quarantacinque anni, e i capelli, radi sulla sommità e folti sopra le orecchie, avevano iniziato a ingrigire leggermente.
“Credo di poterla aiutare.” dissi io, come se lui non avesse detto niente.
“Un altro. C'è il prete, in chiesa qua vicino, ogni tanto mi viene vicino, mi dice che lui mi può aiutare. Gli ho offerto da bere una volta.”
Per qualche attimo ebbi la netta sensazione di star parlando con un matto. Lui aprì appena la finestra e scagliò fuori la sigaretta ancora accesa. Una lama di freddo invernale arrivò fino a me. Lui si sedette nella sua poltrona.
Io allargai appena le braccia, istintivamente, e lui scosse la testa.
“Si spogli.” disse.
Io lo guardai, e ebbi una reazione stranita, a giudicare da come lui proseguì.
“No, non nudo. Intendo, si levi la giacca. Non ha caldo qui dentro?”
Io ero ormai talmente spaesato, che non sapevo manco che stagione era, ma seguii il suo consiglio e deposi giacca e sciarpa sull'attaccapanni vuoto.
Mi fece cenno che mi sedessi, e io lo seguii, con un timido grazie.
“Allora avanti. Fuori il rospo.”
Io abbozzai un sorriso.
“Gliel'ho detto, penso di poterla aiutare.”
Lui sorrise per la prima volta, contraendo le guance, senza mostrare i denti.
“Testimone di Geova?”
Io non colsi e dissi
“No, cattolico, come tutti.”
“Chi la manda? Assicuratore, bancario?”
“Ma no, ma no... niente secondi fini, sono qui davvero per sapere se posso dare una mano.”
Stavolta rise, senza trattenersi, poi si ricompose e mi guardò dritto.
“Crede di aver trovato degli indizi, ha ricevuto una telefonata anonima?”
“No, non penso, non direi...” balbettai io.
“È un investigatore privato?”
“No, niente di tutto questo.”
A questo punto si alzò in piedi, appoggiando le mani alla scrivania, disse
“Mi scusi.” e andò la porta. Sobbalzai quando gridò
“Chi cazzo l'ha fatto entrare? Chi è stato?”
Io sulla sedia mi feci più piccolo che potei e aspettai che avesse finito. Nessuno gli rispose dal resto del commissariato.
“Fuma?” mi chiese, tornando alla scrivania come se nulla fosse. Aveva lasciato la porta aperta.
Io feci di no con la testa.
“È scappato da un manicomio?” mi chiese serio, mentre se ne accendeva un'altra.
Io mi sentii sobbollire dentro. Ebbi un sussulto di orgoglio e esalai
“Io no, e lei?”
“Anni fa, una volta, ma non sono bei ricordi.” replicò, serio.
Io non sapevo più che dire, e sospirai profondamente.
“Certo che se sapevo...” cominciai.
“Che questo D'Ambrosio aveva un carattere così balzano, col cavolo che andavo da lui, facevo prima a parlare con qualcun altro.” mi interruppe, e proseguì “È esatto? È quello che stava per dire?”
Io annuii succhiandomi la guancia coi denti.
“Bè mio caro ragazzo, che tra parentesi, lei non si è ancora presentato, ma io non sono un tipo formale... mio caro ragazzo, se è quello che lei stava per dire io sono molto soddisfatto. Perché non si va a rompere all'ispettore capo di un commissariato senza un buon motivo, e spero che dopo oggi le passerà la voglia. Ora via, se ne vada, sciò.” con un eloquente gesto della mano.
Io ci rimasi malissimo, cacciato senza aver potuto dire niente.
“Quindi lei non vuole il mio aiuto?” chiesi debolmente.
“Per fare? Per prendere i cattivi? Per arrestare gli spacciatori e quelli che rubano le borse alle vecchiette? Faccia il concorso e entri in polizia, come tutti, se è quello che le va di fare.”
“Ma io non sono un poliziotto.”
“Non ho alcun dubbio.” fece lui.
“Lei non capisce, io voglio darle un aiuto da civile.”
Lui rise ancora, tra una boccata di sigaretta e l'altra.
“Vuol fare questo lavoro di merda, senza prendere soldi?”
Io mi alzai e scossi ancora la testa.
“Laureato?” chiese lui.
“Antropologia.”
“Centodieci?”
“Centootto.”
“Ricco?”
“Sì, di famiglia.” dissi senza vergogne. Davanti ad altri, sarei stato un po' più circospetto.
“Cos'è, il figlio di papà idealista, che vuole prendere i cattivi?”
“Lei è un gran maleducato.”
“Può darsi.” fece lui. “E quindi? Non la seguo?”
“Lei è un poliziotto, dovrebbe trattar bene la gente. La gente ha bisogno di lei.”
“Ma lei, chi è? Topolino? Mickey Mouse? Era tanto che non incontravo uno così, ma dove vive?”
“Senta, ho cercato lavoro con la mia laurea, e non ho trovato niente. È un po' che ci penso, sono appassionato di criminologia e vorrei aiutare la polizia, ma di arruolarmi non mi va. Va bene?” sputai fuori rabbioso, e ormai deciso ad andarmene.
“Rallenta, tesorino, ti si è drizzato tutto il pelo. Dai, sentiamo, cosa vorresti fare?”
“Non so, l'informatore.”
“L'informatore? Frequenti i mafiosi? Vai nei bar malfamati?”
Io sbuffai.
“Allora, non lo so, potrei rileggere i rapporti per cercare qualche punto debole."
“Ho fior di colleghi che passano le giornate a leggere carte. Perché tu dovresti farlo meglio?”
“Allora mi dia da fare qualcosa che non fa nessuno, perché costa troppo tempo e soldi.” dissi io, deciso a non perdere il confronto.
Lui sorrise, stavolta mostrando un po' i denti e spense la sigaretta nel posacenere, che evidentemente prima si era scordato di avere. Assunse un'aria civettuola, si leccò le labbra, dando segno di aver avuto un'idea che lo divertiva.
“Le piace viaggiare?” mi chiese. Notai il suo ritorno al "lei" e mi irrigidii.
“Sì.” dissi io, ed era anche vero.
“Allora forse...” disse suadente. Si alzò e aprì il primo cassetto del mobile. Ne trasse una cartella piena di fogli sparpagliati. La mise sulla scrivania e iniziò a spulciarla. Io aspettavo, in piedi.
“Facile o difficile?"
“Difficile.” dissi io, per sfida.
Lui prese un foglio di carta con una foto.
“Lo conosce?”
Io scossi la testa.
“Lo guardi bene. Non l'ha visto alla televisione?”
Io non ricordavo quella faccia per nulla.
“Chi è?” chiesi.
“Un povero cristo. Di mestiere faceva l'attore. Sua moglie l'ha piantato per un altro uomo, due anni fa. Viveva da solo con la figlia. Una sera, mentre lei guardava la tivù le ha piantato una pallottola in testa ed è scappato. L'hanno avvistato un po' dappertutto nell'ultimo anno, ma nessuno è riuscito ad acchapparlo. Dieci mesi di latitanza. Non male, eh? Io non durerei una settimana.” fece una pausa “Ormai non lo cerchiamo più. Se si fa trovare bene, se no, abbiamo di meglio da fare.”
Io annuii nervosamente, ticchettando i piedi per terra. Avevo in mano la fotografia che lui mi aveva dato. Il viso era quello di un uomo sui quaranta, con gli occhiali, una folta zazzera di capelli ricci e uno sguardo azzurro e penetrante.
“Lo trovo io.” dissi, emozionato.
“Sicuro.” fece lui. “E quando lo incontra me lo saluti tanto.”
scritto da Alberto Lioy (come al solito, peraltro) martedì 22 gennaio 2013
la foto non c'è
la canzone nemmeno
perché?
perché non è un racconto, ça va sans dire